[ Bollati Boringhieri, Torino 2012 ]
In una pagina di quello che rimane ancor oggi il ritratto migliore delle inarrestabili oscillazioni dell’io, gli Essais, Michel de Montaigne scriveva che, se la verità è una sola, «il rovescio della verità ha centomila aspetti e un campo indefinito» (Essais, I, 9). Franca D’Agostini, docente di filosofia della scienza al Politecnico di Torino, ha tentato di definire le rotte del proteiforme «rovescio della verità» nel suo Menzogna, capitolo conclusivo dell’indagine iniziata con Verità avvelenata (2010) e Introduzione alla verità (2011), tutti pubblicati da Bollati Boringhieri.
Scritto con agilità e limpidezza, Menzogna è un’introduzione alla “filosofia della bugia” che riserva sorprese a lettori e specialisti in virtù dell’originalità della prospettiva adottata dall’autrice: D’Agostini traccia infatti la sua sintomatologia della menzogna «alla luce del concetto di verità», non – come è d’abitudine – partendo dalla mise-en-scène mistificante del bugiardo. L’intento dei quattro capitoli del libro è duplice: da un lato far riscoprire al lettore il fascino della verità, con l’obiettivo di «difendere chi è vittima dall’inganno, e smascherare la stupida furbizia degli ingannatori»; dall’altro, opporsi alla tradizione del nichilismo aletico di stampo nietzschiano, sostenitore di una visione di verità come «espediente escogitato da filosofi, religiosi, dogmatici per obbligarci a credere a teorie ingannevoli e assurde».
E alla verità è dedicata la prima parte del libro, volta a definire questo concetto minato da incompletezza, fragilità e invisibilità già a partire dall’etimologia: il greco alétheia include, ironia della sorte, il termine léthe, oblio. A partire da questo doppio binario – verità fragile ma unica versus menzogna proteiforme – si snoda il percorso attraverso le diverse facce assunte dalla menzogna, inverata di volta in volta in fenomeni simili ma distinti come la manipolazione, il plagio, lo sviamento. D’Agostini individua la triplice serie di piani – de re (su stati di cose), de se (sulle emozioni), de dicto (sui linguaggi) – sui quali essa agisce, e ne delinea una tassonomia servendosi di categorie dense di spunti di riflessione: dalla «premenzogna» (descrizione del reale volta a preparare la mistificazione) alla «metamenzogna» (negare di aver mentito), dalla menzogna «di vaghezza» (basata sull’inafferrabilità del reale) a quella «di affidabilità» (in cui una fonte veritiera viene messa sotto accusa).
Menzogna mostra come la filosofia possa – debba – essere un’attività “di emergenza”, particolarmente utile quando anche i principi più basilari vengono messi in dubbio da visioni che pongono sullo stesso piano realtà e mistificazioni, costituendo un ostacolo al corretto esercizio del potere democratico. L’autrice conclude ricordando, con Platone, come l’esercizio rigoroso del pensiero esiga la stessa concretezza e precisione richiesta al macellaio: «L’arte di tagliare, che è in definitiva l’arte di parlare, o di pensare, è l’unico strumento che abbiamo contro i distruttori della ragione fintamente razionali». Parole attuali, che svelano quanto siano preziose le pagine di questo contemporaneo baedeker sulle tracce di quella cicatrice che Montaigne – ce lo hanno insegnato i saggi di Mario Lavagetto – aveva sapientemente nascosto.
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